February 8, 2010 | In: Ecology, Economy, Social

Perchè non privatizzare l’acqua

Dopo una lunga assenza torno ad aggiornare il blog con un argomento di cui mi ero già interessato: l’acqua. Questa sera sono rimasto a casa e su indicazione di un conoscente ho seguito la trasmissione “Presa diretta” dal titolo Acqua Rubata. Pur essendo a conoscenza di questa nuova grande corsa all’oro da parte di alcune multinazionali, principalmente grazie al mio professore di Economia politica applicata , rimango ogni volta sconvolto dalla vastità della truffa che si stà preparando.

La trasformazione in legge della normativa europea offre delle prospettive terrificanti: il pubblico, che sia lo stato, la regione la provincia o il comune non può e non potrà più gestire la distribuzione dell’acqua salvo nel caso in cui le condizioni del mercato non rendano la stessa impossibile. Detta in altri termini il pubblico dovrà distribuire l’acqua dove non c’è e non potrà nemmeno concorrere per distribuirla dove c’è.

Questa scelta segue un principio europeo secondo il quale la concorrenza del privato è la migliore condizione per offrire un servizio, sia anche la distribuzione del bene più prezioso dell’universo, fondante per la possibilità dell’esistenza della vita. Ebbene secondo me si è scelto di rinunciare all’universalità del diritto all’acqua per sostituirlo con quello della concorrenza.
Questo ragionamento è aberrante ma ho purtroppo oramai capito che interessa molto poco alla stragrande maggioranza dei miei compatrioti molto più legati ai sentimenti de panza. Passando quindi alle implicazioni pratiche ed economiche di questo sistema è possibile che qualcuno si senta maggiormente stimolato a capirne un pò di più su quello che sta accadendo ed accadrà nel prossimo futuro (a partire dal 1 dicembre 2013).
Il sistema che si và delineando prevede l’equiparazione della distribuzione dell’acqua a tutti i vari sistemi che si sono andati privatizzando nel corso degli anni, con gli stessi effetti negativi che le distorsioni che si sono viste tra la concorrenza perfetta idealizzata e la realtà. L’acqua sarà distribuita da società private o pubblico/private in cui il privato DEVE predominare per legge. Attraverso delle aste (nella migliore interpretazione di “procedure competitive ad evidenza pubblica”) si dovranno conferire i diritti sulla distribuzione dell’acqua. Questi contratti di gestione sono di  lunghissima durata, anche trentennali e prevedono degli obblighi sotto forma di investimenti obbligatori sulla rete per ripagare l’usura che naturalmente il sistema di distribuzione ha nel corso degli anni e che il distributore sfrutta per ottenere degli utili. Inoltre sono anche previsti dei limiti per quando riguarda gli aumenti massimi delle tariffe, cosicche le multinazionali non possano estorcere ai cittadini cifre pazzesche per beneficiare di un bene tanto fondamentale quanto l’acqua.
Questi limiti scelti dagli organi amministrativi locali (regioni in primis, ma anche provincie e comuni) dovrebbero evitare che i cittadini vengano privati dell’acqua, che le tariffe salgano troppo e che le infrastrutture rimangano senza manutenzione a scapito di coloro quelle tubature le hanno pagate con le proprie tasse. Tutto molto bello su un libro di microeconomia (dove peraltro sono indicati chiaramente i rischi che si corrono quando il sistema non funziona), ma la realtà è ben diversa.

Ci si dovrebbe rendere conto che la distribuzione dell’acqua è un monopolio naturale e che in assenza di un fortissimo sistema di controllo le multinazionali dell’acqua vengono in possesso del potere di fare il bello e cattivo tempo. Innanzitutto la regolamentazione dei parametri che queste devono rispettare è delegato alle regioni che su questa materia non hanno una linea comune e non è difficile aspettarsi, soprattutto in Italia, che bastino un paio di milionate in bustarelle per corrompere il sistema normativo di mezza Italia sulla questione, mandando in vacca tutto il castello e mettendo in mano a dei criminali la possibilità di far morire di sete chi non è in grado di pagare, coloro che non sono più raggiunti da una distribuzione decente e di far pagare un prezzo esorbitante tutti gli altri per un bene che dovrebbe essere fondante, universale, di tutti.

Quando anche ci trovassimo di fronte a degli amministratori incorrutibili (sic!), le multinazionali avrebbero la possibilità di estorcere a questi delle condizioni estremamente vantaggiose attraverso il sistema di spartizione territoriale del mercato. Per rendere il concetto semplice pensate che siano in due (SONO in due) a decidere e che invece di farsi la guerra si siedano ad un tavolino, si spartiscano l’Italia come la migliore delle torte e si promettano di non intralciarsi con la concorrenza tra di loro. In questo modo rimarrebbero da soli ed avrebbero il potere di influenzare sui regolamenti di quella zona sotto la minaccia di non presentarsi per niente con il rischio di lasciare tutti senz’acqua per un bel pò. E tanto che sarà mai un paio di mesi senz’acqua corrente, tanto voi mica vi lavate, mica andate in bagno, mica cucinate, mica bevete.
Per evitare tutto ciò esiste un organismo, l’AGCM che monitora i comportamenti cd. collusivi. Solo che questo è in grado di intervenire solo dopo che il comportamento collusivo ha avuto luogo e solo con delle pene pecuniarie. Magra consolazione a fronte dei rischi che si corre.
Ma mettiamo anche che l’AGCM si trasformi in un organismo realmente in grado di prevenire e non più solo sanzionare le collusioni, anche in questo caso i rischi per chi si ostina a bere (acqua) per sopravvivere sono alti. E si perché nei vari comuni in cui in passato la distribuzione è stata privatizzata le ditte private non hanno rispettato nè i limiti massimi di tariffazione, con un esubero del 40% della tariffa a consumo più un aumento non permesso della quota fissa che incide per un altro 25% nella bolletta, nè i limiti minimi previsti per gli investimenti lasciando che le tubature si rovinino e non ripagando quindi lo sfruttamento della rendita di posizione di monopolio naturale. Per completare l’opera sono anche riusciti ad aumentare il proprio indebitamento verso le banche. Dei veri e propri geni dell’economia, con in mano il diritto/dovere di distribuire l’acqua nei nostri rubinetti, degni di Calisto Tanzi.

La gestione privata non porta benefici se non è regolamentata.

Questa è la situazione al momento. Il nostro governo di centro-destra ha già approvato il decreto 135/09 che obbliga la cessazione di tutti i contratti di distribuzione che non siano già regolamentati in questo modo entro il 31 dicembre 2012. Le regioni non hanno una linea comune sul come regolamentare i termini contrattuali dei contratti di gestione, lasciando quindi molto spazio alla corruzione di chi dovrà decidere a quanto far vendere l’acqua dalle multinazionali per i prossimi trent’anni, l’organo che dovrebbe impedire eventuali spartizioni della (ricchissima) torta non è in grado di agire se non a posteriori, quando il danno sarà già fatto ed i cittadini possono stare tranquilli che se il sistema non funziona attualmente, non ci sono margini di speranza che la distribuzione dell’acqua migliori:  i privati non sono interessati a farvi avere dell’acqua buona ad un prezzo giusto, magari facendo pagare questo servizio di più ai ricchi e di meno ai poveri attraverso una tassazione indiretta (cd. gestione in perdita, tanto ostracizzata dai liberisti nostrani), ma sono interessati all’utile, ed il miglior modo per fare utile è risparmiare sugli investimenti ed aumentare le tariffe spremendoci come limoni e la cosa più preoccupante è che gli stiamo dando tutti gli strumenti per farlo al meglio.
In questo quadretto si riescono a riassumere tutte le merdate della storia italiana recente. Dal sistema di tangentopoli, mai affrontato e sconfitto seriamente, alla truffaldina gestione  e successivo fallimento di ditte che altrimenti non sarebbero state in grado di indebitarsi e fallire.
Per riportare il tutto all’interno dell’ambito politico nazionale, uno dei corresponsabili della mancanza di una normativa condivisa (ed applicata) tra tutte le regioni è il Ministro Raffaele Fitto, che avevo già incontrato cercando informazioni su Antonio Angelucci. A quanto pare i suoi interessi sono diversificati visto che non guarda solo al presente con gli scandali della gestione sanitaria privata ma stà puntando già al prossimo grande affare, l’acqua.
Ed è interessante notare come Fitto sia già stato avversario di uno dei maggiori esponenti dell’acqua pubblica, quel Nichi Vendola che lo ha sconfitto alle passate elezioni regionali pugliesi e che dopo aver disintegrato un altro avversario già battuto in precedenza, Francesco Boccia, ora dovrà vedersela con un delfino dello stesso Fitto, Rocco Palese. Poi ogni tanto qualcuno mi chiede come mai sono di sinistra…

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